“Tanto c’è il dizionario!” (ovvero Il dramma dell’acquisizione del lessico nello studio delle lingue classiche)

come-utilizzare-il-dizionario-latino-italiano_44549da8219df9871aa1318d5b003aebSe si dovessero analizzare, con una certa acribia, le criticità del metodo grammaticale-traduttivo (comunemente noto come tradizionale), la maggiore potrebbe essere ritenuta, a buon diritto, la scarsa conoscenza del lessico da parte degli studenti.

Nella comune pratica didattica il suo studio si fonda su liste contenenti da un minimo di venti fino a picchi – folli – di ottanta vocaboli, che il malcapitato studente è tenuto ad imparare a memoria in un arco temporale solitamente abbastanza stretto, da uno a tre giorni. Questo metodo, tutt’ora prevalente, viene messo in atto solitamente per i primi mesi del primo anno, per poi cadere gradualmente in disuso nel corso della seconda parte dell’anno, salvo eccezioni.

ABITUDINI DIDATTICHE E LORO RISULTATI

Gli effetti sono ben chiari a tutti i docenti: lamentano essi infatti in coro una scarsa conoscenza lessicale da parte della maggior parte degli studenti, i quali, se si esclude un gruppo di termini ad altissima frequenzialità (come per il latino fero, venio, ago, miles, puer, vir etc… e per il greco ἀγαθός, καλός e qualche verbo come φέρω, ἄγω, βαίνω, la cui conoscenza scivola miseramente nei meandri della mente se uniti al preverbo) cercano ansiosi ogni virgola nel dizionario. Tale è la foga e la mancanza di sicurezza che affligge gli studenti, da portarli a cercare pure quei lemmi di cui hanno l’impressione di sapere il significato.

bisturi

Nell’immagine, l’attrezzo più comunemente usato dagli studenti per operare sulla versione: il bisturi.

Morale della favola: tra analisi grammaticale, logica, del periodo, sezionamento del testo come un medico legale farebbe su un cadavere, affannose ricerche sul dizionario, dopo cinque anni di studio, lo studente medio riesce a tradurre (tradurre?) 10/12 righe in due ore: un risultato ben magro, se rapportato alle ore dedicate negli anni allo studio di queste materie.

Come dicevo, tutti i docenti conoscono il problema, ma, solitamente, rimangono inermi davanti all’evidente incapacità degli studenti di trattenere per lungo tempo anche le più semplici e più frequenti parole: allargano le braccia e non sanno come agire, mettendo sul banco degli imputati i ragazzi e la scarsa dedizione di questi allo studio. Se questa può essere una motivazione plausibile per studenti svogliati o poco interessati alla materia (o allo studio in generale), non si può dire lo stesso per quei volenterosi che studiano (pur non brillando) ma che presentano le carenze di lessico che ho poco sopra esposto.
Occorre dunque analizzare il problema, a mio parere, da un punto di vista cognitivo.

Tutte le grammatiche o gli eserciziari di latino e greco sono provvisti, ad inizio di ogni capitolo, di una serie di vocaboli, tra verbi, sostantivi e aggettivi (più di rado avverbi e quasi mai locuzioni avverbiali), che lo studente è tenuto a mandare a memoria; a queste liste, in alcuni casi, se ne possono aggiungere altre fornite dal docente, prese da altri libri o compilate autonomamente; in altri casi, queste ultime semplicemente prendono il posto delle prime.

Uno dei maggiori problemi di queste liste è che, in numerosi casi, non sono compilate per frequenzialità, cioé contengono parole che non si trovano praticamente mai nei testi, o assai raramente, e la cui memorizzazione non solo è tremendamente faticosa, ma (e questo è peggio) inutile. In un testo scolastico, di cui non farò il nome, ho trovato fra le parole da imparare “mostro marino”: di grande frequenzialità, non c’è che dire. Ai ragazzi viene chiesto di dedicare un tempo immenso nella memorizzazione di lemmi che non troveranno mai nei testi, o quasi mai. Ma, come vedremo, il problema della frequenzialità non è centrale nei processi di acquisizione del lessico: anche se tali liste fossero compilate secondo criteri di frequenza, non sarebbero comunque efficaci, poiché sono le liste stesse a non esserlo per motivi che vedremo.

Per i pochissimi che sostengono che comunque la memorizzazione del lessico non è essenziale per la comprensione di un testo ma che a questo scopo ci si può servire di un dizionario, le ricerche scientifiche ci dicono che tale operazione è molto difficile se non sia immediatamente intellegibile almeno l’80% del lessico presente, senza l’ausilio di un dizionario. Sotto questa soglia la scelta dei significati esatti da dare alle parole si trasforma in una lotteria, come spesso avviene nelle traduzioni scolastiche.

MEMORIA VISIVA, APPRENDIMENTO PER REITERAZIONE E APPRENDIMENTO CINESICO

brian-di-nazareth

La mente infatti, secondo gli studi in psicolinguistica, deve percepire una parola (o un’epressione di più parole con un significato unitario) per poi accomodarla nella memoria semantica, che gestisce le conoscenze generali della realtà in cui viviamo. Per poter utilizzare al meglio le capacità della mente, occorre ricordare che essa memorizza per campi sematici (tutti i colori, oppure tutti i termini militari, oppure tutti i termini familiari, etc…), oppure per sistemi complessi (il termine alto si acquisice in maniera stabile solo se associato al termine basso, ad esempio).

La mente ha la tendenza a ricordare le parole se contestualizzate all’interno di un ambito riconoscibile dallo studente nel momento in cui vi si approccia. La conseguenza principale è che le liste lessicali sono inutili se non contestualizzate e rese “sistema”.
Come si può fare in modo che queste parole entrino a far parte della memoria a lungo termine?
Una delle tecniche più in uso è quella di consigliare agli studenti di creare semplici frasi con le parole che essi conoscono, dando un volto reale a ciò che esse descrivono, immedesimandosi nella parola e compiendo l’azione che essa indica, oppure tracciando semplici disegni che raffigurino il termine oggetto dell’apprendimento. È possibile  tenere questo esercizio anche alla lavagna, e risulterà molto utile ed efficace. Non richiede grandi capacità artistiche da parte dei docenti: basta che l’immagine disegnata sia associabile all’oggetto reale che vuole rappresentare (nulla toglie inoltre che il docente si serva di un alunno capace di disegnare e lo faccia stare alla lavagna). È chiaro che tutto questo deve essere compiuto sotto l’occhio vigile del docente.

Oerberg

Hans Henning Ørberg (1920-2010)

Di notevole importanza è la fissazione del lessico tramite reiterazione: su questo, in massima parte, si basano i testi del metodo Ørberg. La ripetizione ad intervalli regolari di un termine in un testo che tratti di un contesto familiare per il discente ne favorisce la memorizzazione. Non è certo sufficiente: l’acquisizione passa inevitabilmente dall’utilizzo attivo della lingua (latina o greca), e quindi si può chiedere allo studente di riassumere (in lingua!) oralmente o per iscritto il passo letto a casa, o ancora fare un tema su un determinato campo semantico di cui lo studente conosca il lessico base. In questo modo, come ho già avuto modo di scrivere altrove, lo studente si troverà a mettere in pratica non solo le sue conoscenze lessicali, ma contemporaneamente quelle morfo-sintattiche: uno studente che sarà in grado di comporre un testo (per quanto possa apparirci facile) non avrà certamente problemi a comprenderne un altro di difficoltà simile quando si troverà a leggerlo. Questo genere di acquisizione è ovviamente di difficoltà graduale, ma quale non lo è?

Ancora un esercizio che può essere valido nell’acquisizione del lessico è chiedere agli studenti di dare, ad una parola data, una veloce definizione (in latino o in greco) per mezzo di una perifrasi (p.es. agricola: vir qui agros colit; miles: vir qui duci paret; etc…). Ovviamente questo esercizio è fattibile solo in caso di forte utilizzo attivo della lingua in classe, che comunque ci sentiamo di consigliare caldamente.

Come abbiamo detto altrove, lo studente deve diventare attore del processo di apprendimento. Non vorrei che questo punto fosse percepito come una sorta di moda didattica: tutti noi sappiamo che, da studenti universitari, abbiamo amato di più quegli argomenti che avevamo scelto in autonomia, o in cui ci sentivamo parte attiva: speso capita nella scelta della tesi, in cui per la prima volta lo studente sente di potersi muovere con una certa libertà. Nello stesso modo, uno degli snodi fondamentali è che lo studente deve “fare”: deve cioè prendere le lingue classiche ed usarle. Deve comporre, distruggere e ricomporre, penetrando all’interno di esse, sotto lo sguardo attento del docente: deve muoversi attivamente e con una certa libertà all’interno del perimetro, pur nel rispetto delle regole. E deve muoversi nel vero senso della parola. Fingere di trovarsi in una stanza ed avvicinandosi ad un’altra stanza dire “ad cubiculum eo” oppure descrivere un’azione semplice svolta da un compagno di classe che porge una penna ad un amico dicendo “Marcus calamum dat amico suo”. Bisogna che gli studenti facciano, anche autonomamente, questi esercizi a casa. Pensate che ci voglia molto tempo? E perché? Le liste che vengono date di solito non richiedono forse tempi e fatica doppia rispetto a quanto sto dicendo? Conosco docenti che dividono la classe in squadre e la fanno lavorare sul lessico. Questi docenti, a scanso di equivoci, appartengo al genere umano.

MEMORIA, LESSICO E REALTÀ

cap6Il punto è proprio questo: la mente, per memorizzare, ha bisogno di agganciare il lessico ad una realtà sensibile, conosciuta e contestualizzata (niente liste con una trentina di vocaboli random presi un po’ dal mondo militare, un po’ dall’ambiente familiare, un po’ dall’ambito religioso, un po’ dalla filosofia, etc…, ma parole che si riferiscano ad un unico ambito per volta, su cui si stia lavorando magari dal punto di vista culturale), un lessico che lo studente possa usare, costruendo, utilizzando, percependo ed immaginando quelle parole come vive e cangianti, soprattutto dal momento che le lingue classiche (a differenza dell’italiano) hanno la flessione nominale oltre quella verbale, con cui gli studenti fanno quotidianamente i conti: essa dovrà diventare un automatismo. Non è possibile che gli studenti snocciolino costantemente sulle dita, pronunciandole a fil di labbra o cantilenandole, declinazioni e coniugazioni ad ogni parola in cui si imbattono (senza contare quelli che mugugnano solo le desinenze: um-i-o-um-um-o). Questo dimostra esclusivamente una scarsissima familiarità con le lingue che per moltissime ore settimanali studiano ed una visione distorta di esse anche dal punto di vista grammaticale.

È necessario imporre agli studenti non liste di parole, ma spingerli verso una maggiore riflessione con una profonda attività di codifica (i modelli  di apprendimento pappagalleschi non hanno mai dato alcun risultato) ed abituarli ad agganciare quelle parole alla realtà: a questo solo corrisponde una migliore memorizzazione. Questa maggiore riflessione è a livello semantico, più che sintattico, lessicale più che grammaticale: il lessico ha significato per la memoria solo se utilizzato all’interno di un testo o di un contesto.

A questo va aggiunto che l’immagine visiva da sola è meno efficace rispetto a quella sonora: la traccia iconica ha durata 250-500 millisecondi, quella sonora (o econica) 2-3 minuti: si ricorda il 10% del visto, il 20% dell’ascoltato, il 50% del visto ed ascoltato.

CAMBIARE STRATEGIE, CAMBIARE ABITUDINI

e6yns1ASL9ddX0HIs7R9PA_mÈ necessario continuare a battere su questo punto: se a scuola nella nostra veste di docenti facciamo qualcosa che va in direzione opposta ai processi di apprendimento del cervello (organo deputato a questo scopo), non importa quanto ci piacciano quelle cose, quanto ci facciano sentire al sicuro, quanto si siano sempre fatte così: se le ricerche ci dicono che quello che stiamo facendo non porta all’acquisizione, è sbagliato. Possiamo anche continuare ad ignorare i risultati delle ricerche, ma saremo co-responsabili della mancata acquisizione del lessico da parte degli studenti. Le tecniche che ho descritto richiedono un grande impegno ed un grande dispendio di energie da parte del docente, rispetto alla classica regola da spiegare ad una classe china sul foglio a prendere appunti, ma posso garantire che i risultati ripagano tutti gli sforzi.

Giampiero Marchi
Centro di Studi Classici GrecoLatinoVivo
Firenze

7 pensieri su ““Tanto c’è il dizionario!” (ovvero Il dramma dell’acquisizione del lessico nello studio delle lingue classiche)

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  3. Non si imparava il latino e il greco per parlarli, per fare i camerieri, gli interpreti, i corrispondenti commerciali. Si imparava per conoscere direttamente la civiltà dei due popoli, presupposto necessario della civiltà moderna, cioè per essere se stessi e conoscere se stessi consapevolmente.La lingua latina e greca si imparava secondo grammatica, meccanicamente; ma c’è molta ingiustizia e improprietà nell’accusa di meccanicità e di aridità. Si ha che fare con ragazzetti, ai quali occorre far contrarre certe abitudini di diligenza, di esattezza, di compostezza anche fisica, di concentrazione psichica su determinati soggetti, che non si possono acquistare senza una ripetizione meccanica di atti disciplinati e metodici.

    http://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/libri/2015/06/10/eco-web-da-parola-a-legioni-imbecilli_c48a9177-a427-47e5-8a03-9ef5a840af35.html

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    • Le sue teorie, che Lei crede così nuove, sono totalmente state stroncate dalla ricerca scientifica e dalla stessa didattica delle lingue classiche, che, pur proponendo strade diverse, condivide almeno la fallacia del metodo “tradizionale”.
      Tutto ciò è in atto da almeno 40 anni.

      Le consigliamo di aggiornarsi, studiando storia della didattica delle lingue classiche, un po’ di glottodidattica e neurolinguistica.

      Inoltre non capiamo per quale motivo ci debba condividere un articolo che la dovrebbe riguardare da vicino: noi ci aggiorniamo e parliamo sulla base delle ricerche, non lei.

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  4. Un’analisi molto corretta, a mio parere. Da ex studente di lingua latina e amante delle letture classiche, posso confermare che, da quando ho abbandonato i “metodi scolastici”, ho ricominciato ad apprendere veramente la lingua. Mettendomi di fronte ad interi testi, non i soliti trafiletti delle versioni o i minuscoli estratti dei manuali, ho finalmente trovato il gusto della lettura. All’inizio utilizzavo il dizionario per la ricerca dei termini sconosciuti, ora lo leggo come fosse una seconda lingua, senza più prestare attenzione alla traduzione. Credo che sarebbe molto più corretto per gli studenti, non fossilizzarsi su delle parole statiche, ma lasciare che seguano lo scorrere delle frasi. Alla fine, il senso “molto generico” delle frasi latine, non si discosta poi di molto dalla nostra lingua. Un’altro suggerimento, che per me e alcuni dei miei studenti delle lezioni private è stato utile, è quello di prendere le parole che non conoscono e portarli a ragionare su quale parola italiana ricalcano e far scoprire loro l’etimologia, spingendoli ad essere più curiosi.
    Grazie per questo interessante articolo.

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