Tradurre Rovazzi è una cosa seria: errori e riflessioni

IMG_0991.PNGNegli ultimi dieci giorni ha avuto grande risalto e grande impatto mediatico la traduzione in latino (o in un presunto tale) che il Prof. Gennaro Amandonico ha fatto della hit estiva di Fabio Rovazzi “Andiamo a comandare”.
Desideriamo specificare fin da subito che non siamo per nulla contrari a questo genere di operazioni, ed anzi crediamo che possano essere di grande utilità didattica, ma è necessario, come vedremo, che esse siano pensate e messe in atto in maniera assai seria e ponderata. Il nostro non è dunque un attacco che mira alla difesa di una sorta di sacralità sepolcrale del latino (e chi ci segue conosce bene le nostre convinzioni a riguardo), ma mirerà a spiegare perché quello che è stato fatto è inammissibile, ma ancor più grave è il fatto che un numero spropositato di docenti di latino abbia condiviso entusiasticamente quest’opera. Ci aspettiamo che un numero molto alto di studenti si rivolti contro di noi, ma rispondiamo loro che il compito di un docente di latino è di insegnare il latino, non una sorta di latinorum che nulla ha a che vedere con gli auctores.

TRADUZIONE COME RESA DI IDEE, NON SOLO DI REGOLE GRAMMATICALI.
Occorre prima di tutto chiarire cosa sia una traduzione e cosa significhi tradurre. Una lingua non è fatta solo ed esclusivamente di parole, ma soprattutto di interazioni di parole che richiamano nel parlante madrelingua forme mentali ed idee. È il caso lampante delle espressioni idiomatiche, di cui ogni lingua è ricca. Esse hanno senso non nella loro costruzione sintattica e per le singole parole che in esse si trovano, ma nell’immagine che tali concatenazioni di parole creano nella mente del parlante nativo. Per fare un esempio, nell’espressione italiana “conosco i miei polli” il significato di tale espressione è chiara a chiunque parli italiano correntemente, ma sarebbe incomprensibile per uno straniero che abbia solo una conoscenza grammaticale della lingua. Ogni lingua ha un modo diverso, con parole diverse, per esprimere tale idea: sarebbe totalmente scorretto renderla in inglese con un improbabile “I know my chickens”. Ogni espressione idiomatica ricalca infatti un personalissimo ed intimissimo percorso culturale che la lingua compie nei secoli. In italiano infatti rispecchia una certa realtà contadina, ed in inglese invece tale frase può essere resa con un “I know you inside out”,  mentre in portoghese con “te conheço de outros carnavais” (ti conosco da altri carnevali). Chiaramente l’idea di fondo è simile ma il substrato culturale rimane indissolubilmente legato alla singola lingua. Nell’espressione italiana, si richiama l’idea di allevamento, in quella portoghese l’idea di tempo e festa, ma il concetto e l’immagine mentale sono molto vicine.
Spesso, semplicemente, qualcosa si perde: anche questo ha un suo certo fascino.
In latino, la medesima frase si potrebbe rendere con un sensum tuum pulchre calleo (Terenzio, Adelphoe), anch’esso richiamante una realtà contadina e che pressappoco significa “ti conosco a tal punto che mi sono venuti i calli”. Niente a che vedere con un letteralissimo pullos meos novi, che per un parlante latino non avrebbe avuto nessun significato, come per un italiano dire “ti conosco da altri carnevali”.

Il testo latino di Rovazzi non solo è pieno di rese letterali di forme idiomatiche italiane, come vedremo in seguito, che dimostrano una scarsa conoscenza di ciò che significhi tradurre da parte di chi traduzioni deve correggere, ma (e soprattutto) una serie di errori grammaticali che ci fanno dubitare delle competenze del docente stesso. Partiamo dal titolo: imperatum adeamus, che in italiano significa pressappoco “andiamo a comandare da”. Da chi? Il verbo adire significa andare da qualcuno e vuole l’accusativo come complemento di moto. Bastava dire imperatum eamus, però Rovazzi non intendeva certo comandare nel senso di “dare ordini” ma di “primeggiare”, dunque forse in latino sarebbe stato meglio eamus dominatum. Oltre a ciò, ci si potrebbe meravigliare anche di:

  • mihi dicendum est tibi. Meglio: a me dicendum est tibi;
  • vobis come forma di cortesia è inesistente, in latino si dà sempre a tutti del tu. Anche a Cesare.
  • fungitur dimidiatum: fungi, uti, frui, potiri, niti reggono sempre un ablativo. Sottintenderlo è un errore: comunque uno spreco di opportunità per spiegare la reggenza di quei verbi.
  • corporis habitus iactatos facio: se qualcuno ha capito come questa frase possa significare “faccio i selfie mossi”, per favore ce lo comunichi perché sono le due del mattino e noi non ci siamo ancora arrivati.
  • cannas haurio: cannae nei poeti significa per metonimia flauti, appunto perché fatti di canna. Speriamo che gli studenti non pensino che Titiro e Meliboe si spaccassero di canne.
  • cum meo cani: errore da matita blu, canis all’ablativo fa cane.
  • corticem medicatam aquam demoveo: non si spiegano questi due accusativi, forse intendeva dire corticem de aqua demoveo?
  • Poi, dulcis in fundo, quel quam mentulam facis? finale, traduzione letterale e assurda di una imprecazione idiomatica che, come abbiamo già dimostrato, non può essere resa letteralmente. Sarebbe come scrivere in inglese “what cock do you do?”. Sarebbe assurdo.

RISVOLTI PEDAGOGICI DI UN’OPERAZIONE DISCUTIBILE
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I problemi che nascono da una siffatta traduzione non sono esclusivamente di ordine morfo-sintattico, ma soprattutto sono pedagogicamente dannosi. Per quanto possa sembrare divertente per gli studenti  leggere un testo del genere, il compito del docente in classe non è quello di far giocoleria, ma di utilizzare gli strumenti didattici in modo ragionato, consapevole e indirizzato verso il fine di portare gli studenti all’apprendimento di lingua e cultura. A chiunque voglia controbattere che comunque gli studenti sono stati avvicinati alla lingua (in questo caso qualunque essa sia, ma non certo latino), rispondiamo che il compito primario del docente è insegnare la lingua (e abbiamo dimostrato ampiamente che quella di adeamus imperatum non è lingua latina), attraendo sì gli studenti, ma questi due punti (insegnare e attrarre) non devono mai essere disgiunti.

Inoltre una resa di questo genere porta gli studenti a credere che per tradurre sia sufficiente rendere parola per parola il testo, concetto la cui diffusione è pari solo alla sua fallacia, risultando spesso in traduzioni mostruose. Un’abitudine che questo lavoro decide di rinforzare.
Ricordiamo che non siamo contrari a questo genere di operazioni, ma la scelta del testo da tradurre deve essere particolarmente oculata. Il testo in questione non presenta nemmeno in italiano una coesione sintattica. Non possiamo scegliere come testo da tradurre in latino, avendo come obiettivo l’insegnamento della grammatica, un testo già di partenza talmente sconnesso in italiano da risultare incomprensibile senza il video. La scelta didattica risulta davvero improponibile e ingiustificabile a livello pedagogico: se poi l’idea era quella di far divertire semplicemente i ragazzi (scelta discubitibile), l’intento comunque didattico è perso. Ad ogni livello (semantico, morfologico, sintattico, lessicale) questa scelta non regge, come abbiamo dimostrato sopra. La traduzione in latino di Rovazzi somiglia molto ad un brano che Elio e Le Storie Tese hanno composto alcuni anni fa in un inglese maccheronico, ma che aveva solo intenti parodistici e non didattici.  Per capire cosa intendiamo, consigliamo a tutti di ascoltare il pezzo degli Elii: la traduzione di Rovazzi suona più o meno allo stesso modo.

Ecco, se un docente di inglese presentasse un testo del genere in classe per insegnare la grammatica sarebbe probabilmente chiamato in presidenza e di certo non osannato dai colleghi.

COME POSSIAMO DUNQUE AGIRE?
Sulla base di quanto scritto finora vediamo quale possa essere un esempio di canzone italiana traducibile in latino con profitto didattico. Occorre innanzitutto evitare testi di musica rap, perché troppo frammentari sintatticamente, e tendere forse al cantautorato italiano, che si presta maggiormente a questo tipo di esercizio, o alle sigle di cartoni animati. Abbiamo deciso di tradurre in latino la prima strofa del brano degli Stadio dal titolo Un giorno mi dirai. Fin dalle primissime righe si potrà notare quanti appigli non solo semantici o grammaticali, ma anche letterari si possano trovare in un testo del genere.

Un giorno ti dirò
Che ho rinunciato alla mia felicità per te
E tu riderai, riderai, e tu riderai di me
Un giorno ti dirò
Che ti volevo bene più di me
E tu riderai, riderai, tu riderai di me

Aliquando tibi dicam
me deposuisse¹ meam beatitudinem² tua causa
At tu ridebis, ridebis, at tu me ridebis³
Aliquando tibi dicam
te a me (4) dilectam esse plus oculis meis (5)
at tu ridebis, ridebis, at tu me ridebis

Come si può constatare dicam introduce una proposizione infinitiva dell’anteriorità (¹), mentre nel punto (²) il docente dovrà evidenziare che felicità non è felicitas (che significa sorte) ma beatitudo. In (³) vediamo i due usi del verbo ridere, intransitivo e transitivo nel senso di “ridere di qualcuno”.
Il punto (4) è di grande interesse poiché mostra come nell’infinitiva si debba evitare l’ambiguità di due accusativi (dicam me te diligere) facendo uso della voce passiva. In (5) invece si ha addirittura modo di riprendere una frase idiomatica latina dal Lugete di Catullo per rendere l’italiano “amare qualcuno più di sé stesso”: plus oculis suis amare.

L’opera di traduzione di un testo moderno in latino è quindi un compito stimolante e didatticamente efficace, ma assai complicato, che necessita di competenze più che vaste.
Per chi volesse avere opere moderne già tradotte in latino, rimandiamo ad un altro articolo in preparazione che verrà pubblicato nei prossimi giorni.
La leggerezza con cui la diffusione entusiasta della traduzione in latino di Rovazzi è stata messa in atto da molti docenti di latino e greco denota, noi crediamo, la tragica caduta verticale delle competenze cui assistiamo in questi tempi.

Yuri Borges Loyola
Giampiero Marchi
Centro di Studi Classici “GrecoLatinoVivo”
Firenze

6 pensieri su “Tradurre Rovazzi è una cosa seria: errori e riflessioni

  1. Questo articolo mi fa ricordare i giorni in cui ho provato a tradurre in latino l’esortazione Evangelii Gaudium. Sono partito dall’orogi spagnolo, ma ci sono certe espressioni che nemmeno in spagnolo si capiscono bene. Come si può fare a tradurre testi del genere? Ho rinunciato all’opera dopo il terzo paragrafo.

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  6. Questo articolo, che leggo ad anni di distanza dal fatto descritto, mi fa sorridere. Ahimè, sono passati quasi vent’anni dai miei giorni dietro al banco con il Prof. Amandonico in cattedra, ma non posso che ricordare con particolare gioia il senso di leggerezza e, nel contempo, pienezza che provavo nelle sue lezioni. Amandonico si è sempre dimostrato un grande cultore della lingua latina, che non trascurava mai di segnalare eccezioni e particolarità. Tanto che, a confronto della maggior parte dei miei coetanei provenienti da altri istituti, le mie competenze linguistiche e letterarie del latino sono sempre state superiori. Certo… a volte anche lui aveva delle sviste. Del resto, come voi mi insegnate, errare humanum est! Non mi trovo però allineata con questo attacco che, sebbene condivisibile nell’idea di fondo, apre il fuoco su un metodo di insegnamento che nei fatti crea valore e vicinanza tra latino e studenti.

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